La chiesa di San Giovanni in Zoccoli a Viterbo




È un tempio notevole per la sua antichità, ed anche più per aver traversato quasi novecent’anni, senza esser stato guastato o deturpato dalla devota barbarie dei secoli vicini a noi. Qua dentro, si respira tutt’ora l’aura arcana del misticismo medioevale, quando l’uomo intorno al mille, tutto assorto nella vita dello spirito, nutriva un profondo disprezzo per la natura; e, penetrato in ogni fibra dal timore d’un Dio, tremendo giudice e punitore, avea bandito dai sacri templi ogni lenoncino dell’arte classica romana, che a lui rappresentava l’idea anticristiana e quasi l’essenza del paganesimo. Qua dentro tutto ispira austerità mortificazione, concetti che si occultano nel mistero, ed aspirazioni oltremondane. Non pitture che allettino lo sguardo e idealizzino il contrasto tra il mondo reale e il soprannaturale. Non splendori di marmi e di metalli preziosi, che rompano le misteriose penombre della casa di Dio. Nude e tetre le pareti di vivo sasso: nudo e tetro il tetto dalle rustiche travature: nudi e tetri i tre altari, collocati di fronte ed in alto sul presbitèro assai elevato dal pavimento, per dissepare la nascente aristocrazia dei ministri del culto dal rozzo ed umile volgo dei credenti. Un’architettura semplice e rigidamente severa, senza ornati, senza modanature, senza cornici, e spoglia perfino d’ogni concetto artistico, tarpa le ali del pensiero, perché non vaghi fuori della visione interna, non si distragga dalla preghiera. Niun tempio fra noi conserva, al pari di questo, l’impronta della vita tenebrosa del secolo XI.[1]

Così ci descrive la chiesa di San Giovanni in Zoccoli lo storico viterbese Cesare Pinzi alla fine del XIX secolo: nessuno meglio di lui riesce a restituirci l’anima di questa città nascosta nelle sue pietre millenarie. Pinzi ci fornisce una testimonianza importante per ricostruire la storia e l’immagine di questo edificio, martoriato anch’esso, insieme a moltissimi altri, dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e dalle insidie del tempo.
La chiesa, datata tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, è situata in uno dei quartieri più antichi della città, quello di Santa Maria in Poggio, oggi attraversato da via Mazzini: qui vi abitò anche Santa Rosa e qui avvennero i suoi primi miracoli. Rimane leggermente fuori dal circuito turistico abituale, ma se si dispone di abbastanza tempo consiglio vivamente di fare una passeggiata anche in questa parte della città, che regala scorci di magico sapore antico. La facciata è suggestivamente preceduta da due archi paralleli a sesto ribassato che scavalcano la via e vanno ad appoggiarsi alla casa prospiciente l’edificio: un espediente statico per bilanciare le spinte degli archi delle navate. Essi inquadrano anche lo splendido rosone romanico, formato da tre cerchi concentrici ornati da colonnine marmoree ed archetti in peperino, che ricorda molto quelli delle chiese di San Pietro e Santa Maria Maggiore a Tuscania. Agli angoli del rosone troviamo il tetramorfo con i simboli dei quattro evangelisti e tutt’intorno una cornice a decorazione musiva. Ai lati due aquile connotano l’intitolazione della chiesa a San Giovanni Evangelista. Il resto della facciata, così come tutta la struttura, ha subito numerosi restauri nel corso dei secoli, in particolare nell’Ottocento ad opera di Giovan Battista Cavalcaselle, che ha ricostruito il fregio del portale sulla base di un frammento originale. Il rifacimento più consistente è stato quello postbellico, mentre l’ultimo intervento di restauro, conclusosi nel 2013, è stato affiancato da indagini archeologiche che hanno fornito dati interessanti riguardo la storia dell’edificio nelle sue prime fasi.
L’interno basilicale a tre navate, scandite da una teoria di archi a tutto sesto e con copertura a capriate in legno, termina con tre absidi emergenti e il presbiterio leggermente rialzato. L’opera più importante è un pregevole polittico datato 1441 realizzato da uno dei più importanti protagonisti della pittura viterbese: Francesco d’Antonio Zacchi, detto il Balletta.



Se siete arrivati a leggere fin qui, vi starete probabilmente ancora chiedendo “ma che c’entrano gli zoccoli nell’intitolazione della chiesa?”. Ebbene, mi duole rivelarvi che l’origine del nome rimane incerta, ma l’ipotesi più attendibile è quella che vende nel termine “zoccoli” una corruzione del volgare “ciocole”, derivante da “ciotole”, in riferimento ai manufatti smaltati che decoravano anticamente la lunetta del portale principale dell’edificio, oggi perduti.



[1] Cesare Pinzi, I principali monumenti di Viterbo. Guida pel Visitatore, 1894.

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